Ottima fotografia con cui Forster sa metterci davanti a mille frammenti di specchio per mostrarci una rappresentazione della nostra labirintica mente, dove sogno e memoria si mischiano e si sovrappongono e dove perdiamo con la facilità di un bambino la percezione della frontiera fra questi e la realtà, avvicinandoci però anche ai confini della follia e della parte più oscura di noi, giù negli abissi del subconscio, soprattutto di fronte al demone della morte. In un abile gioco di riflessi rimbalziamo da un’immagine ad un’altra, da un momento ad un altro della vita del personaggio, ma di quale? Ci viene da pensare “uno, nessuno e centomila”. Un grande caleidoscopio dove i richiami e le ripetizioni ci ammiccano dall’inizio alla fine di quello che sembra un quadro cubista, in cui la realtà è presa, spezzettata in molteplici prospettive e poi ricomposta alla rinfusa. Se in principio Sam sembra essere il vero protagonista e siamo rassicurati dalla credenza di seguire la sua reale visione degli accadimenti, man mano che la storia va avanti perdiamo il contatto con un referente sicuro e iniziamo a dubitare di tutto e di tutti, per poi tirare le somme in un finale che dovrebbe chiarire il tutto dandoci una chiave di lettura inaspettata, quasi alla David Lynch, ma che lascia ancora soggiacere il dubbio a logorarci lentamente.
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